Valerio Manfredi, pontefice Massimo del romanzo storico.

Come vengo a sapere da un’intervista apparsa di recente su un quotidiano, Valerio Massimo Manfredi, laureato in archeologia, è “uno degli scrittori italiani più venduti al mondo, che coi suoi romanzi ambientati nell’antichità (su tutti la trilogia di Aléxandros) ha venduto milioni di copie”.
Si tratta per la precisione di quattordici milioni, come precisa l’autore, il quale polemicamente ricorda che al liceo il professore di greco gli diceva: «Manfredi, perché non vai a vendere banane?».
Senza dubbio Manfredi era sveglio: sarebbe diventato ricco anche se avesse seguito il suggerimento ironico del suo professore che, alcuni anni dopo, forse lo avrà invidiato non poco, come lo invidio io che con una pensione di mille euro al mese mi sono svenato a pubblicare a mie spese alcuni saggi sulla questione omerica e su quelle relative a varie letterature europee delle origini, senza neanche riuscire a riprendere un solo euro di quanto ho tirato fuori.
I miei scritti non sono di certo altrettanto interessanti e allettanti: si muovono in un terreno difficile e tentano di colmare le lacune lasciate irrisolte dai filologi che sopra quelle questioni hanno lavorato per secoli con impegno ma senza successo. Hanno di buono che non sono appesantiti dalle solite note illeggibili e noiose a piè di pagina, con le quali gli studiosi mirano a conferire alle loro ricerche filologiche attendibilità scientifica, a mio parere solo riempitivi usati per dare la polvere negli occhi ai lettori, basate come sono molto spesso su testi non autentici.

Ma ormai i saggi letterari sembrano essere arrivati al capolinea e solo pochi li leggono: che si cerchi di arrivare finalmente alla soluzione della questione omerica o anche di quella dantesca, non meno rilevante eppure ignorata da tutti, sembra non importare molto nel nostro mondo fatto di continue esaltanti novità elettroniche tese a rendere sempre più splendide le sorti dell’umanità.
C’è però da tenere presente che alle questioni di cui mi occupo è legato il futuro della nostra società occidentale, perché investono l’insegnamento a ogni livello. Non si può continuare a buttare miliardi e miliardi nell’istruzione, se c’è il pericolo che buona parte di ciò che si insegna risulti falso, per quanto bello, interessante e talvolta anche formativo, ma sempre falso.
Forse il guaio più grosso è che dopo anni di studio una percentuale molto alta di laureati non riesce neanche a scrivere in maniera corretta, ma questo è un altro discorso piuttosto annoso che dimostra la scarsa validità degli studi precedenti a quelli universitari. L’esame stesso di maturità è diventato una buffonata che serve a dare l’illusione al colto e all’inclita che la scuola sia una cosa seria.
Avessi ragione io, ciò che i codici medievali ci avrebbero tramandato sulla produzione letteraria della Grecia e di Roma, per non dire di quella europea altomedievale, sarebbe destinato a crollare come un castello di carte, con conseguenze molto gravi, perché non è accettabile che la cultura del mondo occidentale poggi da secoli su fondamenta inconsistenti.
Il fatto è che a avere torto sarebbero migliaia di specialisti, i quali delle mie ipotesi non vogliono neanche sentir parlare. Spero che la verità finisca per avere la meglio sulla fantasia e su errori secolari, ma non sarà cosa facile arrivarci. Poi succederà quello che deve succedere e, se ho ragione, l’iter culturale della civiltà europea proseguirà su percorsi meno splendidi ma più reali.
Non parliamo dei romanzi storici del Valerio Massimo nazionale, che finirebbero per apparire fasulli, legati a opere spurie composte dal più grande falsario vissuto al mondo, se Omero, Erodoto, Tucidide, Tito Livio, Virgilio, Svetonio, Tacito, Procopio, Paolo Diacono, per nominare solo i più grandi, fossero solo controfigure del senese Cecco Angiolieri, come vado predicando al vento da anni.
Per ora i lettori trovano nei romanzi di vario genere, compresi quelli storici, e nei documentari legati al mondo antico una forte attrattiva. Farò un esempio: di recente negli Stati Uniti si sono vendute milioni di copie di una semispecie di romanzo sugli amori omosessuali di Achille e Patroclo. Si tratta di un caso limite, ma significativo.
Questo dice molto bene che cosa voglia il lettore medio attuale: anche negli eroi del mondo antico si cerca di vedere riflessa la mentalità e il modo di vivere che vanno per la maggiore ai nostri giorni. E le case editrici, cui il lancio di un best seller costa cifre ingenti, non guardano tanto per il sottile: il libro non deve far pensare troppo, ma è indispensabile soprattutto che attiri. Se isola dalla realtà, come una droga, tanto meglio.
Manfredi però, questo gli va riconosciuto, è uno scrittore di buon livello: archeologo e saggista, sa conquistare i lettori. Ma se avessi ragione io, i suoi scritti imperniati sulla storia, tanto letti, sarebbero solo romanzi di romanzi.
L’ho sentito parlare più volte in interviste e documentari televisivi con il tono solennemente monotono e perentorio tipico degli iniziati o di chi è fortemente convinto di battersi per la causa superiore della cultura. Forse tutti i torti il suo professore di greco non li aveva. Sarò cattivo, ma viene il sospetto che tanta serietà celi l’intento vero, quello legato agli affari.
La vera cultura ha bisogno di mescolare Platone con Aristofane, Seneca con Plauto. Dato che non si può mai essere sicuri come stiano le cose, queste vanno guardate con distacco. Cecco-Socrate, incline giustamente a dubitare delle sue speculazioni filosofiche, come racconta Cecco-Platone, ogni tanto scendeva dal pensatoio in strada per giocare con i bambini.
A questo punto, visto che lo scrittore ha più di settant’anni e che le nuove generazioni, quelle eternamente immerse nella consultazione manuale dei loro aggeggi elettronici, di libri ne compreranno sempre meno, mi permetto di dargli un consiglio: potrebbe anche andare in pensione, interrompendo il suo lavoro ben retribuito intorno al bel castello di carte di cui prima.
Siccome non ha problemi economici, piano piano potrebbe ampliare il suo orizzonte apprendendo che chi ha composto l’Iliade e l’Odissea è lo stesso che ha scritto il De rerum natura, l’Eneide, la Vita nova, il Decameron, il Milione, i Carmina Burana, che ha tradotto e rielaborato la Bibbia e i Vangeli, che ha composto opere devote, alcune delle quali dedicate a san Francesco, fra cui un capolavoro come Il cantico delle creature, non certo opera del Poverello di Assisi, come ritiene papa Francesco e non solo lui.
Suoi prestanome sono, per esempio, Iacopo da Varagine e Tommaso da Celano. Tuttavia non era uno stinco di santo e dovette fuggire da Siena per l’accusa di eresia, e forse non solo per quella, costretto a campare come un morto vivente e a nascondersi dietro numerosi pseudonimi.
Misantropo come Timone di Atene, un suo personaggio famoso, e tormentato da una malattia della pelle, talvolta amò vivere solitario in spelonche, in una delle quali situa un personaggio dell’Odissea come il pastore Polifemo, vendicatore dei troiani, un po’ antropofago ma anche poeta squisito e prolifico, stando al significato del suo nome. In un’altra caverna ritrae Filottete, eroe tragico greco, tormentato dai dolori e dai miasmi di una ferita purulenta che lo costringe a starsene isolato dal prossimo. Di spelonche e anfratti vari abbondano i suoi scritti.
In una grotta Cecco-Platone ambienta il famoso mito cosiddetto della caverna, relativo alla teoria delle idee, e in un’altra troviamo il suo prestanome Gerolamo intento a lavorare sulle sacre Scritture in compagnia di un leone nel clima estremo del deserto siriano, e il particolare forse non andrà preso alla lettera, anche se Cecco-Ruggeri Apugliese sostiene di essere stato un bravo domatore di belve: c’è però da tenere presente che il leone figurava nell’insegna di Siena.
Anche il Senofonte dell’Anabasi, opera sulla quale Manfredi nel suo L’armata perduta ha lavorato ricostruendo il percorso dei Diecimila in ritirata attraverso le regioni dell’Asia, altro non sarebbe che un alter ego di Cecco, il quale per una conoscenza più precisa dei luoghi viaggiò settecento anni prima dello scrittore emiliano nelle regioni circostanti al Mar Nero, come ho sostenuto nel mio ultimo saggio intitolato L’Umanesimo, la grande beffa di Cecco Angiolieri (Siena 2014, ilmiolibro.it, pp. 13-15).
Un’altra cosa che Manfredi apprenderà è che Ulisse, il suo eroe preferito, non era molto amato da Cecco-Omero: qualche particolare autobiografico del senese si distingue anche nell’eroe di Itaca, che però viene visto soprattutto come un greco astuto e ingannatore in lotta contro i troiani, per Cecco solo pastori pacifici, trascinati in una guerra di sterminio dai greci con il pretesto di un’umanissima vicenda d’amore, ma in effetti per desiderio di rapina e di predominio, lo stesso desiderio che sarà alla base del futuro impero di Roma, figlia e erede di Troia.
La stessa Penelope non viene guardata con molta simpatia: il misogino e bisessuale Cecco ne irride la fedeltà al marito lontano considerandola una semplice oca, guardiana della casa, come dice il significato stesso del suo nome, comprendente anche una sfumatura di oca giuliva.
Le donne in Cecco-Boccaccio per lo più sono portate dalla propria natura a tradire i mariti. Qui Cecco-Omero fa un’eccezione, ma ricorrendo a quel nome femminile strano non tralascia di riderci sopra da bravo giullare colto e misogino, che nei suoi momenti più alti arriva a immettersi nella parte di grande pensatore indossando le vesti di Platone, Aristotele, Epicuro, Lucrezio e tanti altri.
La sua è quella che molti secoli dopo un filologo come Nietzsche, passato presto alla filosofia, con una felice intuizione avrebbe chiamato la Gaia Scienza, per distinguerla da quella seriosa e noiosa di tanti cosiddetti specialisti del tempo passato e di quello presente e vivo.
Perché ora Manfredi, arrivato ai settant’anni, famoso e ricco, e ricco vuol dire libero da condizionamenti, non pensa a un po’ di gloria che superi quella effimera di una manciata di anni dovuta alla sua attività soprattutto di romanziere? Si tratta di superare il muro di diffidenza e di silenzio che gli specialisti accademici, timorosi delle proprie carriere per un’imminente rivoluzione letteraria e gelosi delle proprie ricerche senza sbocco, hanno creato attorno a nuove indagini e congetture sulla questione omerica, di cui mi sembra di avere trovato la chiave proprio nella questione dantesca, soprattutto per la mia conoscenza del senese antico.
Qui ci sono di mezzo la Bibbia, i Vangeli, Omero e la letteratura greca, Virgilio, la letteratura latina e quelle dell’Alto e del Basso Medioevo, Dante, beffato da un Virgilio fasullo dietro il quale si cela Cecco, e tutta la produzione letteraria europea delle origini che attende un nuovo assetto.
Insomma c’è gloria a volontà, forse perfino il Premio Nobel, ma anche da lavorare e da lottare contro accaniti conservatori, molti dei quali ricorrono spesso anche all’esoterismo per dare maggiore lustro a quanto sostengono, per esempio su Dante, capo riconosciuto della setta dei Fedeli d’Amore, a mio parere solo un’invenzione comica del suo nemico Cecco.
Che poi Dante e lo stesso Cecco si siano interessati di occultismo e di esoterismo, appare indubbio: indicative nel senese sono le ardue Enneadi, attribuite al suo pseudonimo Plotino, nome ricavato da quello di Platone, e del senese è anche un vasto poema intitolato Dionisiache, attribuito al notaio egiziano di età bizantina Nonno di Panopoli: nell’opera è celebrata la divinità più amata nel mondo pagano, Dionìso, dispensatore di oblio tramite il vino.
È molto probabile che Manfredi non legga questo mio scritto, ma nel caso che lo facesse, gli chiedo di non prendersela a male, mandandomi pure a quel paese a vendere banane.
Quando ero giovane, per lottare contro la miseria dello stipendio statale d’insegnante, mi sono ridotto alla vendita diretta di prodotti e a tentare esperienze di lavoro al di fuori dalla scuola.
Da vecchio, ho imparato a rinunciare a molte cose e ho capito l’esule Dante che, rimasto privo dell’appoggio dell’amico Guido Cavalcanti,  morto prematuramente e in seguito da lui bistrattato nella Commedia per colpire Cecco, nella maturità per cercare di far quadrare i conti aveva preso a giocare a zara ricorrendo a prestiti, tanto che alla sua morte lasciò dei bei chiodi agli eredi.
Nel tentativo di far rendere quei quattro soldi che mi ritrovo, da decenni ho imparato a convivere con l’ansia che dà comprare e vendere i titoli azionari. Finora sono riuscito a barcamenarmi non facendo debiti. Se in futuro mi andrà male, come è probabile, sono pronto a farla finita con l’azzardo, e quello connesso alla Borsa è forse il più pericoloso, accontentandomi di vivere con il minimo indispensabile.
Mi dispiacerà solo di veder campare lautamente certi furboni che nelle università di tutto il mondo si riempiono la bocca con Omero, Platone, Aristotele, Pitagora, Virgilio, Seneca e Dante senza averli capiti.