Una nuova edizione delle “Rime” di Dante.

Cecco Angiolieri: Le Rime di Dante Alighieri, con sei saggi introduttivi. Testo critico, note e commento di Menotti Stanghellini –  Siena 2014, ilmiolibro.it.

Qualcuno penserà che dopo le edizioni dell’opera curate in passato da Michele Barbi, Gianfranco Contini, Domenico De Robertis e altri filologi romanzi di valore, si sarebbe potuto anche fare a meno di un’altra sulla quale ha lavorato un maestrucolo con tanti limiti come me, ma che grazie alla conoscenza del senese antico resta convinto di poter far cambiare l’errato assetto secolare fiorentinocentrico di tutta la letteratura italiana delle origini.
Il titolo che avrebbe dovrebbe figurare sul frontespizio del libro è CECCO ANGIOLIERI, Le Rime di Dante Alighieri, titolo del resto conservato nella prima pagina dell’interno, ma apparso tanto illogico e insensato, che qualcuno si è sentito in dovere di cambiarlo, almeno nella parte più visibile del volume.
Poco male, ma la cosa non è insignificante, perché se io ho ragione, quelle che conosciamo da secoli come Rime di Dante, altro non sono che falsi di Cecco, desideroso di vendicarsi dell’Alighieri, che dopo avere ricevuto da lui nozioni culturali di base atte a farlo entrare nell’agone poetico, per motivi a noi non chiari (in parte caratteriali e in parte politici) litiga con il suo Mentore e gli diviene nemico a tal punto che nella Commedia ne fa un dannato infernale, celato sotto il goloso Ciacco e il sodomita Guglielmo Borsiere. E non basta, ma mi fermo qui, perché la faccenda secondo le mie congetture risulta molto più complessa e l’ho già spiegata altrove.
C’è di mezzo anche Brunetto Latini ma, stando alle mie ipotesi, finalmente l’amato maestro, giudicato dall’inflessibile Dante meritevole di un posticino sotto la vampa del cerchio dei sodomiti, finisce per cambiare faccia e riassumere il vero posto e la vera identità che gli spettano.
Chi avrà voglia di leggere la decina di pagine finali della mia Introduzione, tramite l’articolo intitolato Il vero maestro di Dante non è ser Brunetto forse arriverà a capire meglio il tutto, sempre che io abbia ragione. Una cosa è certa: si continuerà a ritenermi indegno di attenzione da parte della confraternita filologico-romanza per avere osato stravolgere la figura tradizionale del sommo poeta e l’interpretazione di alcune parti del suo poema sacro, che in certe parti ora diventano nuove e fresche come le brocche dei biancospini.
Così da queste Rime di Dante, che a Dante non possono essere attribuite per numerosi altri motivi oltre quelli linguistici, il sommo poeta, per quanto irriso e tirato giù dal suo piedistallo, viene fuori come un uomo vero con tutti i suoi difetti (ipocrisia, superbia, partigianeria letteraria, lussuria, risentimenti tenaci) che alterano fino a un certo punto la sua grandezza poetica messa in dubbio da Cecco, cui dobbiamo questo canzoniere meraviglioso, perché di un vero e proprio canzoniere si tratta, un’opera omogenea confezionata dal falsario senese per vendetta, insieme a tutte le altre opere minori attribuite a torto dagli specialisti all’Alighieri, seguendo passivamente le didascalie dei codici, per la maggior gloria di lui e della sua città natia.
Dante del suo stilnovo, forse per colpa dell’esilio e del lavoro speso intorno alla Commedia, si è limitato a disegnare un esile progetto, un semplice schema, ma chi ha riempito quel traliccio vuoto è stato Cecco, sotto la mano del quale irrisioni e intenti polemici hanno finito per perdere forza a poco a poco: con il suo genio è riuscito a fare qualcosa di sublime e ha trionfato divenendo lui lo stilnovista più grande.
Chi ci ha rimesso è stata soprattutto la povera Beatrice, forse incolpevole, definita puttana nel sonetto Guido, i’ vorrei di queste Rime mediante un’espressione idiomatica senese, finora non compresa dagli studiosi, che va a legarsi con l’ironico e sferzante tanto onesta pare del famoso sonetto Tanto gentile della Vita nova.
Se Cecco è il vero autore delle Rime, di queste anche il testo presente nelle edizioni precedenti è in molti punti insostenibile: le oltre venti nuove letture da me formulate, se accolte dagli specialisti, potrebbero far diventare obsolete tutte le edizioni passate in quanto molto discutibili e talvolta prive di senso in varie parti.
Ora leggere le Rime cosiddette di Dante diventa piacevole e divertente, anche grazie alle parafrasi complete delle composizioni che permettono al lettore di superare le difficoltà della lingua trecentesca e di capire a fondo le frequenti irrisioni di cui è fatto oggetto il sommo poeta, anche per il suo traviamento successivo alla morte di Beatrice, forse solo un’invenzione comica di Cecco.
Vorrei dare un consiglio ai non addetti ai lavori che decideranno di leggere queste Rime: non comincino dalle canzoni iniziali, belle ma un po’ ardue. Prendano a leggere, per esempio, il sonetto doppio 31 (Se Lapo amico sé tu che mi leggi), non si perdano per la loro importanza il 35 (Guido, i’ vorrei che tu Lapo ed io) e il 37 (I’ vegno ‘l giorno a te ‘nfinite volte), ritenuti i più belli della letteratura italiana, il 42 in dialetto bolognese (No me poriano zamai far emenda), uno dei più divertenti, che i filologi si ostinano a non voler spiegare nella sua semplicità geniale, il 44 (Sonar bracchetti e cacciatori aizzare), nel commento sul quale si arriva finalmente a stabilire la vera identità di un grande poeta come Folgóre da San Gimignano, il 49 (Messer Brunetto, questa pulzelletta), illuminante per rendersi conto di molte cose nuove intorno a Cecco, Dante e ser Brunetto, ma soprattutto non saltino la famosa Tenzone fra Dante e Forese Donati (sonn. 87-92), finora interpretata male dagli specialisti che le hanno pensate di tutte per non far arrivare i lettori a rendersi conto di come stanno davvero le cose, e non si perdano assolutamente il sonetto d. 7 (Sennuccio <dalla> poca personuzza) che, da me restaurato nel testo e interpretato diversamente rispetto al passato, fa assumere a Dante, lussurioso e geloso, la figura e le mansioni comiche di grande maitre del tiaso stilnovistico dei Fedeli d’Amore.
Arrivati in fondo i lettori, se lo vorranno, potranno avventurarsi in tutto il resto, anche nella lettura delle canzoni più impegnative, in cui si parla dell’amore infelice del sommo poeta per la Donna Pietra. Mi permetto di consigliare loro di leggere con particolare attenzione la canzone 7 (Al poco giorno ed al gran cerchio d’ombra): se saranno d’accordo con la mia interpretazione della parte finale che il nero dell’ombra proiettata dai colli, fatta sparire dalla giovane donna sotto le vesti verdi, vuole significare che in Dante il ricordo di Beatrice morta (il nero) è cancellato via dalla fresca bellezza di una ragazza piena di vita (il verde), tanto desiderabile che il poeta in un impulso irrefrenabile di sensualità vorrebbe poter stare dove le vesti di lei fanno ombra, penseranno con me che tutto ciò può essere solo farina della natura giullarescamente geniale di Cecco e che sia insensato attribuire quella canzone, e non solo quella, come si è fatto per secoli, alla mano del sommo poeta, gloria di Firenze e d’Italia.

Per completezza trascrivo la presentazione del libro che figura sul retro della copertina e anche una sua traduzione in inglese, lì rimasta esclusa per motivi di spazio.

La novità di queste Rime curate da Menotti Stanghellini, classe 1932, è nella scoperta del loro vero autore, non Dante ma Cecco Angiolieri. La lingua di base, il senese antico, ha consentito la formulazione di congetture testuali di rilievo, oltre venti, che potrebbero rendere superate le edizioni precedenti di filologi come Michele Barbi, Gianfranco Contini e Domenico De Robertis, e dare accesso a interpretazioni maggiormente attendibili.
Dante, il nemico di Cecco, ne esce molto male: viene visto in lui un peccatore troppo incline a giudicare e a denunciare le mancanze altrui, a eludere il lavoro vivendo alle spalle di parenti e amici, a esaltare ipocritamente l’amore idealizzato, prediligendo i rapporti con donne disponibili e coltivando una passione segreta per le giovanissime.
Ora questo capolavoro spurio è possibile leggerlo liberato da tutto un carico di interpretazioni, simboli, addentellati vari, che hanno fatto di Dante nel corso dei secoli un’icona stucchevole, venerata da tanti sacerdoti addetti al suo culto, mossi più che altro da interessi molto terreni e oltre tutto incapaci di distinguere la lingua senese antica da quella fiorentina.
Il volume è introdotto da alcuni saggi che prendono in esame le vicende di Cecco, la figura enigmatica di Guittone, i rapporti che legano Cecco a Brunetto Latini, che è apparso non essere il vero autore del Tresor.
Particolare importanza riveste un articolo contenente i risultati delle ricerche più recenti dello studioso, che avanza ipotesi avvincenti sulla formazione culturale di Dante e sull’identità del suo vero maestro. Se tali congetture risultassero attendibili, molte cose sarebbero destinate a cambiare sul sommo poeta e sulla Commedia.

The more evident novelty of these Rime, edited by Menotti Stanghellini, born in 1932, is the discovery of their true author, not Dante Alighieri but Cecco Angiolieri.
The basic language, ancient siennese, has allowed the formulation of important textual hipothesis, more than twenty, which might make obsolete the former editions of philologist as Barbi, Contini, De Robertis, thanks to more reliable and satisfying interpretations.
Dante, enemy of Cecco, comes out with a negative reputation for having an attitude to judge and denounce other people’s faults, to avoid work while living at friends and relatives’ expences, to sanctimoniously glorify ideal love while having affairs with easy women, preferably very young ones. Now it’s possible to read this spurious masterpiece free from the weight of interpretations, symbols, different connections that trough the centuries have contributed to make the Florentine poet a sickening icon, workshipped by many faithful followers, unable to distinguish siennese from florentine language.
The volume is introduced by some essays about Cecco’s life, the enigmatic personality of Guittone, the relationship between Cecco and Brunetto Latini, who might not be the true author of Tresor.
An important essay reveals the results of the lathest studies of the author, suggesting peculiar and intriguing theories on the cultural education of Dante and on the identity of his true “maestro”.
Should these theories be trustworthy, many things would be perceived differently about the Poet and the Commedia.