Tutto ruota intorno a Dante: i nodi della questione dantesca.

Con il titolo “Tutto ruota intorno a Dante” ho letto sul Domenicale, verso i primi dell’agosto 2015, un articolo di Nicola Gardini, nel quale si sostiene che il dantismo è un business. “Ogni giorno, in qualunque parte del mondo, viene pubblicato qualcosa su Dante – articolo, traduzione o libro. Finiranno le humanities, finirà la lettura, ma non finirà la disponibilità di prodotti danteschi. La gente vuole Dante, così come i poeti e le accademie, specie quella anglo-americana. Se in tempi di crisi come questi vuoi trovare un posto fisso oltremanica o oltreoceano, fatti dantista e quasi certamente qualcosa salterà fuori… Dopo secoli di esegesi e di scandaglio filologico, che pure non hanno rivoltato tutte le pieghe del testo, l’indagine si sta spostando sempre più sul campo della ricezione e della fortuna… Dante è un fenomeno…, un’icona, un reagente pop: è la politica, è la metafisica, è la realtà, è il corpo, è il sesso, è quello che ti pare… Dante va bene o può andar bene per tutti, mette d’accordo tutti, basta trattarlo nelle maniere più diverse…”.
Nelle parole citate di Gardini, piacevoli e ironicamente allettanti, c’è un po’ di verità.
Quando al mondo d’oggi qualcuno o qualcosa piace, si finisce nell’eccesso e perfino nella infatuazione. Penso che questo in gran parte sia dovuto al fatto che, di fronte a un poema grande come la Commedia, la vita di Dante e la sua formazione culturale rimangono un mistero, e niente piace all’uomo moderno più del mistero, sul quale finisce per ricamare con la fantasia o, peggio, con  laboriose e minuziose ricerche destinate il più delle volte all’oblio, perché si basano su presupposti  inconsistenti.
Dico di più: ancora, sebbene sul sommo poeta si sia pubblicato e si continui a pubblicare tanto, sulla Commedia e sulle opere minori cosiddette di Dante c’è sempre molto, forse troppo, che non si è capito, si è capito male o addirittura non si è voluto capire.
Per esempio, dei tre recenti libri danteschi, uno inglese, uno italiano e uno americano, recensiti da Gardini, quello dell’inglese Nick Havely, Dante’s British Public (Oxford University Press), che costruisce un percorso complessivo dal quattordicesimo secolo al presente, prendendo in esame “materiali e manifestazioni delle più varie, libri antichi (manoscritti e a stampa), illustrazioni, performance, traduzioni e romanzacci”, mette in evidenza che secondo l’autore “il nascente dantismo britannico si appoggia non solo sulla Commedia ma anche sulla Monarchia… e che gli scritti di Dante nutrono poi gli argomenti antipapali di Enrico VIII e il protestantesimo”. L’affermazione è senza dubbio degna di nota, ma ritengo che, prima di affrontare un problema come questo, forse sarebbe molto più importante decidere, partendo da una questione dantesca ignorata da tutti gli studiosi e non meno importante di quella omerica, se il De Monarchia sia con tutte le opere minori un’opera spuria o no. Per me è un falso evidente e mi è sembrato di averlo dimostrato in articoli e saggi che finora non hanno spinto qualcuno non dico a recensirli, ma a dirne poche parole decisive per dannarli in eterno all’oblio.
Non starò a riassumere qui i miei argomenti, perché non basterebbe qualche pagina. Mi limito a dire che per me non solo il De Monarchia, ma anche tutte le altre opere in latino, come il De vulgari eloquentia, le Epistole, le Egloghe e la Questio de aqua et terra, sono dei falsi perché Dante il latino lo sapeva poco e male, nonostante lo sforzo impiegato dal suo amico e maestro per farglielo imparare un po’ meglio.
Non si tratta certo di Brunetto Latini, che un po’ di latinaccio cancellieresco e notarile doveva saperlo, anche se si intendeva maggiormente del commercio di spezie, bensì del notaio senese Cecco Angiolieri, dotato di cultura enciclopedica, divenuto in seguito grande nemico del sommo poeta. Detto en passant, nemmeno si riesce a capire come possa essere attribuito a ser Brunetto il Tresor, un trattato enciclopedico che presuppone una formazione culturale profonda e complessa, oltre alla conoscenza del francese antico, ma gli specialisti non sono tanto ingenui da avventurarsi su un terreno scivoloso come questo, che sarebbe capace di provocare il crollo del bel castello di carte costruito su un assetto errato della letteratura italiana delle origini.
Chi abbia voglia di vedere come starebbe la faccenda relativa alle opere minori dantesche non ha, per esempio, che leggersi l’Introduzione alla mia edizione del Fiore, quella delle Rime di Dante Alighieri, vari articoli apparsi nei miei ultimi saggi (Da grovigli di falsi esce un Dante sconosciuto…, il miolibro.it, Siena 2013; L’Umanesimo, la grande beffa di Dante Alighieri, ilmiolibro.it, Siena 2014) e soprattutto sulla rivista “Le Antiche Dogane”.
Certe pubblicazioni sul sommo poeta, più o meno importanti come quelle di cui parla Gardini, mi interessano fino a un certo punto, perché sono fortemente convinto che prima debbano essere risolti, almeno in parte, certi problemi di fronte ai quali, per un’interpretazione più approfondita del poema, tutti gli altri passano in seconda linea.
Sarà che tutto ruoti intorno a Dante, ma per me il vero sole della letteratura europea non è lui, ma un altro esule, nel quale ho riconosciuto il maestro cui ho attribuito per primo con argomenti concreti la formazione culturale di chi ha composto un poema come la Commedia.
A testimoniarci l’identità del suo maestro è lo stesso Dante, al quale va la colpa se finora non si è capito chi si cela davvero dietro Brunetto Latini: l’affetto per l’amico-maestro senese, mutatosi in odio, gli impedì di accogliere nel poema sacro il nome per lui infamante di Cecco Angiolieri, che del Latini aveva fatto un proprio pseudonimo. Sulla questione si veda il mio articolo Dante Alighieri, ser Brunetto Latini e Guido Cavalcanti: inattese novità di rilievo, comparso sulla rivista “Le Antiche Dogane” nel luglio-agosto 2015.
A questo punto c’è da fare molta attenzione perché, nel caso che avessi ragione, basterebbe un particolare come questo a buttare all’aria l’interpretazione tradizionale di parti rilevanti della prima cantica, e forse a far cambiare molte cose nella Commedia e anche nel modo in cui per secoli si è guardato a Dante.