Probabile un’imminente rivoluzione nella letteratura delle origini.

Partendo da una nuova edizione dei sonetti di Cecco Angiolieri, negli ultimi anni ho scoperto molte cose interessanti sul poeta senese: in quest’ultimo, finora ritenuto un bravo poeta realistico e un geniaccio dalla mentalità legata a spirito goliardico di gaudente sperperatore, si celava ben altro. Per vendicarsi del suo nemico Alighieri, che nella Commedia, indicandolo con pseudonimi, aveva visto in  lui un poeta ormai superato, condannandolo per di più come goloso e omosessuale (questo finora i dantisti non l’avevano capito), Cecco compose durante tutta la vita una lunga serie di capolavori, facendo ricorso a pseudonimi o all’anonimato o attribuendone parte allo stesso Dante o ai suoi pupilli: con tale espediente mirò a gonfiare la fama del sommo poeta e l’importanza dello stilnovo.
Il piano risulta chiaro: quando qualcuno, o prima o poi, fosse riuscito a capire tutto questo, quella fama e quella gloria si sarebbero afflosciate e il primato letterario del suo nemico si sarebbe offuscato rapidamente, nonostante la Commedia, che a giudizio di Cecco costituisce un esempio di poesia teologica più che di vera poesia.
Il guaio è che il piano del senese risultò tanto ben congegnato e sofisticato, che in sette secoli nessuno è riuscito a capirlo e a svelarlo.
Per primo ho cercato di farlo io tramite sei pubblicazioni, alcune delle quali fuori commercio, puntando il dito contro i filologi romanzi italiani e stranieri che non sono finora stati in grado di distinguere la lingua e lo stile inconfondibili di Cecco da quelli di Dante e di altri poeti e prosatori.
Il fatto è che, se ho ragione io, la storia della letteratura italiana delle Origini andrebbe riveduta e corretta con cambiamenti di rilievo che investono non solo Dante e gli stilnovisti, ma tutta la poesia siciliana delle Origini, fino alla paternità, tanto per fare qualche esempio, di opere come il Novellino, il Milione, le Laude iacoponiche, i Fioretti di san Francesco, il Decameron e gli scritti minori attribuiti al Boccaccio.
Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione che investirebbe con effetti dirompenti la letteratura italiana delle Origini, quella che conta di più sotto vari aspetti. Gli addetti ai lavori non hanno ritenuto opportuno di fare il minimo accenno a tutto questo, ma neanche hanno avuto il coraggio, per esempio, di controbattere la mia interpretazione del famoso Guido, i’ vorrei (al v.10 con un’espressione popolaresca senese viene dato della puttana a Beatrice) e quella di certe parti del Fiore, della Vita Nova e del Convivio (introduzione al Fiore, pp.28-37), che portano a ritenere molto improbabile l’attribuzione di quelle opere a Dante. Un ultimo esempio: nel Decameron è apparso ai miei occhi qualche problemino testuale e interpretativo non dappoco di cui i filologi sembrano non essersi accorti.