Le dispute universitarie di Riccardo di Mediavilla.

Chi era Riccardo di Mediavilla si è domandato Armando Torno in una recente recensione (Domenicale del “Sole 24 Ore”, 28 febbr. 2016) di Premier Quodlibet, un primo volume, costituito da più di trecento pagine, di quodlibet (“ciò che piace” in latino medievale, vale a dire una disputa pubblica che si teneva nelle università), curato per Les Belles Lettres da Alain Boureau.
Si tenga presente che, sempre a cura dello studioso francese nella stessa collana sono già stati pubblicati sei tomi di Questioni disputate dello stesso autore, un teologo, non si sa bene se francese o inglese, se si chiamasse Menneville o Middleton, sul quale in un saggio del 1925 Edgar Hocedez riconobbe un francescano nato quindici anni prima di Dante: “Teologo conservatore ma illuminato e indipendente, si sforzò di unire la tradizione e il progresso” integrando “nella sua concezione del mondo, della natura e della grazia gli elementi di progresso contenuti nella dottrina tomistica, nella misura in cui gli parevano compatibili con la tradizione agostiniana”.
Sarebbe stato precettore a Napoli di san Luigi, figlio di Carlo II di Sicilia, e avrebbe conosciuto Ruggero Bacone. Coltivando le scienze sperimentali e non credendo in un universo finito, fu vicino alle idee di Tommaso d’Aquino.
Significativo è qualche quodlibet citato da Armando Torno: “Dio conosce le cose nel loro essere singolare?”, “Si può dire che la sostanza del pane e il corpo di Cristo coesistono nel medesimo istante sotto la specie del pane nel sacramento?”, “La luce è realmente nell’aria?”.
Proprio in questi giorni sto leggendo dell’enciclopedista Enrico di Herford il secondo volume della Catena aurea entium curato da Alessandro Palazzo (Scuola Normale Superiore di Pisa, 2004): si tratta dell’elenco di 5000 questioni trattate nella Catena, la cui pubblicazione completa, stando a quanto afferma Alessandro Palazzo,  sarebbe “nell’ordine di parecchie migliaia di pagine a stampa”. Di grande rilievo è l’importanza che la Catena aurea entium riveste come documento del testo della Summa di Nicola di Strasburgo, il domenicano accusato di eresia per la strenua difesa di Meister
Eckhart durante il processo intentatogli a Colonia nel 1326: è emerso altresì “che Enrico di Herford conosceva di prima mano il memoriale difensivo redatto e messo in circolazione da Eckhart nel 1326”. Da tutto questo sono arrivato a qualcosa che spero possa illuminare quanti studiano le questioni cui ho accennato in modo sbrigativo.
Siccome la mano e lo stile di Riccardo e di Enrico mi sembrano combaciare, avanzo l’ipotesi che Riccardo di Mediavilla e Enrico di Herford siano la stessa persona sotto la quale si nasconde il senese Cecco Angiolieri, noto finora come autore di un centinaio di sonetti realistici, ma a mio parere il più grande falsario medievale, il vero maestro di Dante. I due in un primo tempo furono amici, ma divennero ben presto avversari per motivi che ho specificato in articoli e saggi (si veda al riguardo il mio sito internet www.menottistanghellini.com).
Se ho ragione, anche la Commedia dopo secoli a poco a poco sta cambiando aspetto: dalle mie ricerche sta emergendo il volto del personaggio che Dante ha celato sotto quelli di Ciacco, Guido Cavalcanti, Brunetto Latini, Capocchio, Maestro Adamo e Bonagiunta Orbicciani.
Cecco, in base a quanto emerge da un mio ultimo articolo, che attualmente viene pubblicato a puntate sul periodico “Le Antiche Dogane”, sta divenendo il personaggio principale del poema sacro, a mio parere nato senza dubbio dall’esilio, ma anche dal forte odio che l’autore concepì per il senese, a lui noto come falsario di parole e di monete d’oro, per di più goloso, eretico, sodomita, dissipatore, poeta superato. Se Dante abbia capito o no che dietro Cecco si celassero poeti come Omero, Euripide, Lucrezio  e Virgilio, storici come Erodoto, Tucidide, Livio, Tacito, filosofi come Platone, Aristotele, Seneca, sant’Agostino, san Tommaso e Meister Eckhart, non lo saprei dire con sicurezza, ma per ora parrebbe di no, almeno per gran parte degli autori nominati, vista anche la sua cultura modesta che non poteva certo stare alla pari con quella del suo nemico senese.
Presto però, se i filologi smetteranno di far finta che negli ultimi anni non sia venuto fuori niente di nuovo, forse la beffa epica di Cecco apparirà in tutta la sua grandezza e la sua gravità per la cultura del mondo occidentale. Di certo entro non molto tempo sarà chiaro se agli specialisti accademici di tutte le maggiori università del mondo stia più a cuore la verità o l’assetto tradizionale di una cultura europea contraffatta, e questo non tornerebbe a loro onore.