Il personaggio principale della “Commedia” non è Dante.

Il 4 luglio 2019 si è tenuto a Milano, nella sede del “Corriere della Sera”, un incontro in cui è stata ribadita la necessità di una giornata dedicata al poeta Dante Alighieri, vale a dire l’istituzione di un Dantedì. Hanno preso la parola dantisti di fama, Cruscanti e specialisti.
L’editore Enrico Malato ha dichiarato di voler proporre un’incoronazione poetica in memoriam che renda all’autore della Commedia un tributo da lui in vita desiderato a lungo e mai ricevuto.
L’iniziativa appare discutibile: il mio recente saggio Una tempesta letteraria mette a soqquadro laCommedia” di Dante e la cultura europea (Aracne) ha svelato un poema dantesco molto diverso da come era apparso finora.
Secondo quanto ho scoperto, in sette secoli non si è stati capaci di darne un’interpretazione plausibile, non si è capito che le opere minori dantesche sono dei falsi e che una ventina di anni dopo la morte di Dante  il nanetto senese suo maestro prese lo pseudonimo di Giovanni Boccaccio.
Il senese e il fiorentino si erano frequentati a lungo come buoni amici. Ma c’è qualcosa di più: Dante fu debitore verso l’altro della propria formazione culturale. L’improbabile notaio Brunetto Latini non c’entra affatto, mentre Dante nell’Inferno sostiene l’opposto facendo ricorso a una menzogna confezionata astutamente.
Che ser Brunetto non fosse neanche sodomita si capisce bene leggendo il Tresor, un’opera non certo composta da lui, privo della cultura necessaria.
In seguito i due da amici diventarono nemici per la pelle: sulle probabili cause di questa avversità reciproca mi sono soffermato nel saggio con argomenti concreti.
L’anno di nascita del Boccaccio sarebbe il 1313, guarda caso proprio l’anno della morte di Cecco Angiolieri, per me solo presunta, ma accolta come realmente avvenuta dagli studiosi in base a un atto pubblico senese.
La mia scoperta di un Boccaccio nato a Siena, se legittimata, provocherà cambiamenti di grande rilievo in tutta la letteratura italiana delle origini e non solo.
Gli appassionati di tale letteratura si saranno accorti che da diversi anni a questa parte si pubblica molto poco intorno a vari autori del Duecento e del Trecento, eccettuati Dante e Boccaccio. Lo stesso Petrarca è rimasto confinato nella penombra.
Dove è andata a finire tutta la carica che fino a qualche tempo indietro animava gli studi su un’improbabile poesia siciliana, nata in Toscana, e per esempio su un autore come Guittone (non certo nato a Arezzo), l’importanza del quale era stata messa in particolare rilievo da Gianfranco Contini, ritenuto il principe dei critici moderni?
Perché si sono rarefatti come per incanto gli studi su Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, Rustico Filippi, gli stilnovisti minori amici di Dante, e altri autori da san Francesco a scrittori vari di opere agiografiche, le più relative al santo di Assisi?
Da quando ho cominciato a scrivere saggi e articoli al riguardo, segnalando che a mio parere per secoli non si era avuto il minimo sospetto che un falsario senese fra il Due-Trecento avesse composto tante opere spurie comprendenti perfino quelle minori attribuite a Dante, nelle poche riviste e nei fogli letterari, sopravvissuti alla forte crisi economica che in Italia è sempre viva e vegeta, su quella letteratura sembra essere scesa una cappa di silenzio.
A dirla tutta, ho espresso qualche dubbio non irrilevante anche su certe parti della Bibbia, sui Vangeli e sulle opere attribuite a santi come Girolamo e Agostino, ma qui si entra nel territorio della Chiesa cattolica dominato dal dogmatismo e dall’ortodossia.
Naturalmente nessuno ha fatto il minimo cenno a quanto ho scritto, e sulla letteratura italiana delle origini, con le eccezioni segnalate, continua a permanere un silenzio strano e inspiegabile.
I miei dubbi al riguardo si fanno sempre più forti, e lo stanno diventando sempre di più da quando, e si tratta solo di pochi mesi indietro, ho segnalato non ipotesi ma prove evidenti rinvenute nella Commedia e nel Decameron.  L’ho fatto scrivendone sulla rivista ”Le Antiche Dogane”, che mi ha offerto generosamente un po’ di spazio rifiutatomi dai quotidiani, e approfondendo come stanno le cose nel mio saggio recente citato sopra.
Se ho ragione, questo silenzio desta numerosi sospetti, acuiti dagli annunci di una prossima ampia pubblicazione a puntate sulla letteratura italiana delle origini, forse settimanale, operata dal “Corriere della Sera” in collaborazione con una nota casa editrice italiana.
Spero che il lavoro, cui hanno messo mano vari specialisti, contenga novità di rilievo che comincino a prendere le distanze da quanto al riguardo hanno sostenuto filologi del passato come Michele Barbi, Gianfranco Contini, Domenico De Robertis. Entrano ora in campo specialisti come Pirovano, Grimaldi e Ferroni, ma le anticipazioni fanno pensare che l’iniziativa abbia di mira la conservazione di uno status quo secolare che non si intende rinnegare a nessun costo.
Quello che più mi è saltato agli occhi è stato dedurre da un articolo di Paolo Di Stefano, comparso sempre sul “Corriere” il 6 dicembre 2019, che ancora non ci si rende conto nemmeno della falsità evidente di una Tenzone come quella fra Dante e Forese Donati, nella quale il poeta fiorentino non c’entra niente, o meglio c’entra solo perché è proprio lui a fare le spese delle numerose irrisioni del suo nemico senese che l’ha composta.
Nella Tenzone all’inizio avevo avvertito la mano e lo stile inconfondibile di un grande poeta-giullare come Rustico Filippi, ma di lì a poco trovai le prove più che evidenti che la grandezza di Rustico, non certo un caposcuola come sosteneva Contini, si spiega con il fatto che il Filippi è solo uno pseudonimo di Cecco-Boccaccio. L’ho sostenuto con forza anche nella mia edizione delle Rime cosiddette di Dante (ilmiolibro.it, 2014).
Se è così, come faranno questi signori riuniti a Milano, che avrebbero capito poco nelle opere attribuite a  Dante e nella sua vita, a trovare l’autorevolezza per proporre un riconoscimento e per indire un giorno sacro alla memoria di un poeta che di fatto conoscono male, se ignorano perfino i veri intenti per i quali creò la Commedia?
Quanto al sommo poeta, c’è bisogno che venga compresa la genesi reale del suo poema, un’opera da affrontare e da interpretare senza idee preconcette, che provano solo forte attaccamento a interessi di vario genere negli specialisti. Premi e riconoscimenti verso il sommo poeta sono inopportuni.
Da personaggi e da episodi a lungo travisati della Commedia affiora un dramma personale che tormentò l’esistenza dell’autore. Finora nessuno aveva mai avuto il minimo sospetto al riguardo.
Penso di avere scoperto sui rapporti fra Cecco e Dante qualcosa che finisce per dare al poema un aspetto più credibile e moderno, ma che di sicuro farà storcere la bocca ai tradizionalisti.
Quanto sono riuscito a mettere in luce attraverso un lavoro paziente costituisce la parte principale di un nuovo edificio molto diverso dallo splendido ma fragile castello di carte costruito in passato da studiosi stimati e ritenuti fortemente affidabili anche ai nostri giorni.
Tuttavia si continua a non riconoscere, per motivi evidenti che con la letteratura hanno poco a che fare, la falsità di opere composte da un senese di genio, in base alle quali nel mondo cosiddetto occidentale si è finito per farsi un’idea distorta anche del proprio passato e della propria cultura.