Anna Comnena e Michele Psello.

Nel saggio Omero è nato a Siena (Betti editr., Siena 2011), in un capitolo intitolato “Lo storico Niceta e la conquista di Costantinopoli durante la IV Crociata” parlai di Niceta Coniata, considerato l’ultimo grande storico della tradizione che va da Erodoto e da Tucidide fino a Psello, e di Anna Comnena. Sostenni che tanto Niceta quanto la principessa Anna, autrice dell’Alessiade, una lunga cronaca della vita e del regno del padre Alessio I Comneno, fossero pseudonimi di Cecco Angiolieri. 
Per ambedue rimando i lettori alle otto pagine del capitolo già citato. Qui mi limito a riassumere o a trascrivere brevemente qualche notizia su Anna, oggetto del forte interesse di studiosi e studiose  per essere stata confinata più di trent’anni, dopo la morte del padre, in un convento dove avrebbe composto il poema in prosa che l’ha resa famosa, e  a dire qualcosa sullo storico Michele Psello.
Il fatto è che Cecco, trovando scoperta nella letteratura bizantina la casella della letteratura femminile, la riempie attribuendo l’Alessiade addirittura a una principessa, sfruttando l’interesse generato da una vicenda dall’aria un po’ manzoniana: Anna aveva brigato, dopo la morte del padre, contro il fratello Giovanni, erede al trono. Quest’ultimo, invece di accecarla, come si faceva di solito a Costantinopoli nella famiglia reale, si contentò di relegarla a vita in un convento. Non si contano  le storie romanzate e i saggi scritti al riguardo soprattutto da letterate commossamente partecipi. 
Nel misogino e ironico Cecco-Boccaccio, il principe dei romanzieri, cui forse risale anche la truce storia di Ipazia, l’attenzione verso le donne, plebee o principesse, convince poco. Per capirlo basta leggere un passo del proemio dell’Alessiade. Chissà come riderebbe il senese se potesse venire a sapere quante Ipazie nel nostro tempo sgomitano animate da ansia di rivalsa.

Il tempo, nel suo scorrere perpetuo  e irresistibile, trascina via con sé le cose create, e le sprofonda negli abissi dell’oscurità, siano esse azioni di nessun conto o, al contrario, azioni grandi e degne di essere celebrate, e pertanto, come dice il grande poeta tragico,”porta alla luce ciò che era nascosto e avvolge nell’oscurità ciò che è manifesto”. Ma la storia è un valido argine contro il fluire del tempo, e in certo modo costituisce un ostacolo al suo flusso irresistibile, e afferrando con una salda presa  quante più cose galleggiano sulla sua superficie, impedisce che scivolino via e si perdano nell’abisso dell’oblio.

Il grande poeta tragico è Cecco-Sofocle e lo stile tucidideo e oraziano di queste poche righe appare virilmente sublime. Non può essere stata una donna vissuta fra l’XI e il XII secolo, anche se colta principessa, a scrivere questo proemio stupendo che ci porta a capire meglio il piano letterario di Cecco e i suoi interventi volti a ricreare tanti capolavori perduti. 
Per me è anche molto improbabile che una principessa, cresciuta nella corte di Costantinopoli, sappia troppe cose di prima mano sull’occidente europeo. Eppoi è troppo incline all’elemento amoroso: quando descrive Boemondo d’Altavilla e si sofferma sulla sua imponenza e bellezza, lo fa come se fosse innamorata di lui, e si avverte con chiarezza il modo e lo stile di cui si serve Cecco per delineare tanti suoi eroi e eroine.

Passo a Michele Psello, di cui di recente (28/12/2014) ha parlato Dorella Cianci sul Domenicale del “Sole 24 Ore”, nella recensione di un’opera finora a lui attribuita, intitolata Oracoli caldaici e pubblicata da S. Lanzi (Ed. Mimesis). 
Dello scrittore menziona Dorella Cianci la parafrasi dell’Iliade, i commenti alla logica e alla fisica di Aristotele e il suo interesse anche per le opere platoniche e neoplatoniche. Anzi “la sua idea più interessante fu quella di voler fondere i sistemi filosofici senza escludere da questi il cristianesimo, sperando di trovare il punto d’incontro nelle dottrine neoplatoniche. Si dedicò anche alla stesura degli Oracoli Caldaici, un’opera perduta dell’antichità, e rivelatrice di concezioni sapienziali appartenenti alla tradizione misterica greco-romana probabilmente della fine del II sec. d.C. ma ricostruibile attraverso i commentatori di Psello”.
Su Michele Psello mi fermo qui: a mio parere tutte le opere a lui attribuite, compresa quella di carattere storico intitolata Chronographia, sono di Cecco. 
Quello che di lui mi colpì di più e che feci notare nel saggio citato all’inizio di questo scritto è che il suo nome in greco significa “balbuziente”. Questa particolarità mi portò a congetturare che lo stesso Cecco fosse balbuziente. Scrivevo: “Se non lo fosse stato, perchè avrebbe insistito tanto a attribuire difetti di pronuncia e una simile menda fisica a Esopo, a Demostene, al Venerabile Beda e a numerosi personaggi al centro dei suoi scritti?”.
Fra questi personaggi si potrebbero ricordare anche Ettore, Neottolemo figlio di Achille, Alcibiade, l’imperatore Claudio e forse lo stesso Alessandro Magno.
Arrivai perfino a aggiungere quanto trascrivo: “Forse se Cecco, intelligente e geniale com’era, non fosse stato balbuziente, sarebbe potuto diventare un famoso principe del fòro o un ragguardevole professore universitario, uno dei tanti dalla vita piena di soddisfazioni e di agi, ma di cui dopo la morte si perde alla svelta il ricordo. 
Scelse di vivere un’esistenza misera, randagia e solitaria, rallegrata dalla speranza di una grande gloria postuma e di un’immortalità senza pari, e riuscì a trovare la gioia e la libertà immedesimandosi in tante esistenze e personalità diverse… forse  diventando addirittura anche Omero”.